
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,1-23, forma breve)
“Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: “Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti”.
Il commento al Vangelo di suor Anastasia di Gerusalemme
Il Vangelo di questa domenica ci chiede di compiere un grande movimento, un’uscita. Insieme a Gesù, che Matteo ci descrive in cammino, uscendo di casa per andare fino al mare, anche noi siamo invitati a uscire per poter prendere la posizione favorevole all’ascolto, all’incontro con Lui. Giunti dunque presso il mare, ecco, possiamo vederlo, Lui, il Maestro, che seduto sulla insolita e umile cattedra, che è la barca, dona il suo insegnamento di Vita nuova e piena. E lo fa attraverso una parabola, semplice e chiarissimo esempio di quanto avviene, in realtà, dentro di noi, nel momento in cui veniamo visitati dalla presenza di Dio. Dio fatto piccolissimo, quanto un seme che viene gettato e cade sulla terra. Così è l’amore del Padre per noi: Amore divino che esce, che scende, abbassandosi fino alla terra, prendendo forma di uomo, nel Figlio Gesù, che è a un tempo seme e seminatore. E noi siamo la terra, la sua terra bella, amata. Fin dalle prime pagine della Divina Scrittura questo è il nostro nome: Adamo, nel quale è significato ogni figlio dell’uomo, è così chiamato da adamà, in ebraico, che significa, appunto, terra. La teologia di San Paolo traduce questa immagine così concreta, scrivendo ai Corinzi: “Voi siete il campo, la terra di Dio” (1 Cor 3, 9).
Ecco, allora, è importante davvero che impariamo a leggerci, a conoscerci così. Poiché ogni giorno viene il seminatore, il Signore, nel suo campo a seminare; viene il più bello tra i figli dell’uomo a cercare la sua terra bella, la sua fidanzata amatissima, che siamo ognuno di noi e ci chiede di sposarci, di condividere totalmente la vita con noi, così come un seme condivide la vita con la terra. E lo fa ben sapendo che, comunque, tanta parte di noi non potrà accogliere il suo seme; tre tentativi di incontro su quattro avranno esito negativo, racconta la parabola. Sì, perché quel seme buono, che è il Signore Gesù, sarà divorato, sarà bruciato, sarà soffocato. Dobbiamo ammetterlo: tante volte questo è lo scenario del nostro cuore. Ma per quell’unica situazione positiva, quando il seme invece trova la terra buona e bella e in essa può portare frutto, il seminatore non molla, non smette di credere in noi e continua a buttarsi nella nostra vita. Continua a venire a cercarci.
La parabola di Matteo ci aiuta a leggerci dentro, a prendere contatto con i nostri movimenti interiori: a vedere il nostro cuore coperto da uno strato di grasso, le nostre orecchie pesanti, i nostri occhi velati. Ma anche a gioire di quella parte di noi, che è terra bella, accogliente e feconda, desiderosa di abbracciare il Signore e di lasciarsi abbracciare da Lui per portare il frutto dell’incontro, del sì all’Amore del Padre, dell’umile dono di noi ai fratelli. Che possiamo partecipare così all’Eucaristia di questa domenica: come terra in attesa del seme, o sposa in attesa del suo Sposo, finché avvenga l’incontro e allora il nostro cuore sarà come il giardino di Eden, dove Adamo ancora cammina con Dio, senza avere paura, senza doversi nascondere più.